07 gennaio, 2012

Dislessici o no?

Maltagliati educational - Genitori all'appello

Fino a qualche tempo fa ignoravo il termine dislessia, ma dopo tanto sentirne parlare e creandomi non pochi dubbi sulla veridicità di un problema divenuto quasi fenomeno, ho voluto approfondire e capire innanzitutto cos'è la dislessia, quali i disagi che comporta e l'atteggiamento della scuola e della società verso i dislessici.

"E' un asino!". Così infatti era, fino a qualche tempo, etichettato il bambino o il ragazzo che non riusciva a leggere (dislessia) oppure aveva problemi di scrittura (disortografia e disgrafia) o, ancora, aveva difficoltà con i numeri (discalculia). Oggi però, dopo un decennio di battaglie, la dislessia ha ottenuto un riconoscimento con l'approvazione della Legge 8.10.2010 n° 170, che definisce questi disturbi dell'apprendimento tutelando al contempo chi ne è colpito.


Dislessia, cos'è
La dislessia sappiamo essere una difficoltà nella capacità di leggere e scrivere in modo corretto e fluente. A un bambino dislessico manca quell'automatismo di cui tutti siamo provvisti fin dalla nascita e che gli permetterebbe quindi di leggere e scrivere correttamente. Lo sforzo implicato in questa attività nega a un bambino dislessico la capacità di comprensione del testo, quindi non riesce a imparare. Attenzione, non riesce a imparare leggendo o scrivendo ma ascoltando ha le stesse capacità di comprensione di un qualsiasi altro bambino non dislessico.
Una volta diagnosticata la dislessia, se da un lato è un sollievo per il genitore che finalmente capisce cos'ha il figlio, dall'altro inizia un processo lungo e faticoso per riuscire a trovare un nuovo metodo di apprendimento nonché adattarsi a un nuovo stile di vita familiare.
La Legge appena approvata viene in soccorso proprio a questo, definendo le linee guida per i DSA (Disturbi Specifici di Apprendimento). Linee guida che devono adoperare sia le scuole, sia i genitori sia gli studenti.


Dislessia si dislessia no
Nel mentre in cui preparavo questo articoletto, su alcune pagine di quotidiani uscivano articoli proprio legati al tema della dislessia. Uno di questi in particolare mi ha suscitato interesse anticipando una risposta ai miei dubbi.

So che quanto scriverò ora potrà suscitare non poche polemiche ma credo che la democrazia valga anche e soprattutto per la libertà di pensiero. Quando iniziai a sentir parlare di dislessia, come accennavo all'inizio di quest'articolo, i dubbi sull'esistenza del disturbo, o meglio, se la diagnosi del disturbo fosse corretta in tutti i casi mi lasciava pressoché incerta. Poi leggendo le dichiarazioni rilasciate su varie testate giornalistiche da Federico Bianchi di Castelbianco, direttore dell’Istituto di Ortofonologia (Ido) di Roma, che lavora da quatrro decenni ormai sui problemi dell’apprendimento infantile, mi hanno dato in un certo senso conferma.
Infatti ritengo, come il dottor Bianchi di Castelbianco, che oggi vengono dignosticati troppi casi di DSA quando in realtà buona parte di essi sono da classificare solo come normali disturbi di acquisizione delle conoscenze dovuti a tempi e metodi diversi di apprendimento che contraddistingue ciascun individuo della razza umana.
Credo come sostiene l'esperto che oggi i nostri bambini siano sottoposti a una mole di informazioni e nozioni forse un po' troppo superiori alle loro reali capacità. Vero è che i bambini di oggi si sono comunque adeguati, infatti sono sicuramente più "svegli" di quanto non lo fossimo noi alla loro età. Però non si dovrebbe rischiare di etichettare o comunque nel procedere a una terapia o a una diagnosi con test psicologici e quant'altro solo per un ritardo nell'apprendimento del piccolo. Magari davvero non è poi così interessato alla scuola e non ha voglia di impegnarsi, oppure ha iniziato troppo presto il percorso scolastico o magari sono altri i contesti in cui il bambino ha delle difficoltà che riversa poi sui risultati scolastici.

Senza quindi voler togliere niente a nessuno e tantomeno offendere, vorrei che tutti pongano molta attenzione a non trasformare la vera dislessia in un fenomeno. Che non diventi la scusa dell'insegnante perché non ha tempo di seguire meglio il ragazzo né tantomeno la scusa del genitore per giustificare la svogliatezza del figlio.
La dislessia è un problema che comunque, sia in forma lieve sia in forma grave, meglio non avere e non averci a che fare.
Così decido di partecipare a delle serate formative organizzate dall'Associazione Italiana Dislessia (AID) con il contributo del Banco di Desio, presso la Scuola Secondaria di primo grado Sandro Pertini di Desio. Tre serate che ritengo siano state esaustive, sia per le famiglie e gli insegnanti che quotidianamente si trovano a dover gestire bambini dislessici, sia per coloro che intendevano capire più da vicino il disturbo e non cadere nel luogo comune "non ha volgia di studiare".

1 commento:

prof ATTILIO ha detto...

Sono d'accordo con un approccio critico al fenomeno ma, nello stesso tempo, mi sembra doveroso chiarire alcuni aspetti che mi sembra non siano a conoscenza di chi ha scritto quell'articolo.
Il "fenomeno" DSA (Disturbi Specifici dell'Apprendimento) è stato studiato da molto tempo soprattutto nei paesi di lingua inglese perché le difficoltà nella decodifica dei grafemi in fonemi è molto più difficoltosa che in altre lingue. Si dice infatti che l'italiano, per esempio, sia più "trasparente" cioè, quasi sempre, come si scrive si legge. Da ciò deriva il ritardo con il quale il fenomeno sia nato nel nostro paese. Non è quindi una moda ma una conquista di maggiori informazioni su alcune difficoltà che i nostri bambini incontrano nell'approccio al sapere in forma scritta.
Detto questo va anche ribadito che la "diagnosi" (brutta parola, non essendo una malattia) deve essere effettuata da un team di professionisti che hanno l'obbligo di seguire un protocollo di test standardizzato e che possono quindi rilevare la presenza di DSA solo al superamento di certi parametri.
Resta comunque il problema dei cosiddetti "borderline" cioè soggetti i cui parametri oggettivi sono al limite tra la normale intelligenza e il deficit intellettivo che potrebbe essere la causa delle difficoltà.
Io sono convinto, ma è un mio parere personale basato sull'esperienza di insegnante da 30 anni e di padre di dislessico, che alcune diagnosi di questo tipo siano dovute alla difficoltà degli operatori di comunicare un deficit piuttosto che un disturbo.
Ultima considerazione: è evidente che l'insegnante "sensibile e preparato" non ha bisogno di diagnosi per aiutare un alunno in difficoltà; la didattica diversificata (si badi bene, didattica, non valutazione!) è prevista già nelle indicazioni nazionali del MIUR e quindi non è un problema di numero di diagnosi, ma di insegnanti poco inclini ad adattarsi alle diverse caratteristiche dei propri alunni.
Attilio Milo - insegnante - genitore
PS Albert Einstein diceva
Non insegno mai ai miei allievi, cerco solo di metterli in condizione di poter imparare.

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