30 ottobre, 2012

Se choosy siamo, choosy saranno

Foto di Luca Bonfanti
E' passata da non molto la mezzanotte e prima di chiudere il pc ho deciso di concedermi ancora qualche minuto per esprimere un mio personalissimo pensiero sulle recenti affermazioni del ministro Fornero riferendosi ai giovani d'oggi.

La provocatoria affermazione del ministro definendo i nostri ragazzi troppo choosy (o schizzinosi, per dirla nella lingua del popolo) mi ha fatto riflettere. Ammetto di averne appreso notizia solo parlando con una mia collega quindi non sono stata travolta da notizie condite in tutte le salse nei successivi TG. Ho comunque approfondito la tematica nei giorni a seguire concedendomi anche delle riflessioni su quella che era ed è la mia opinione a riguardo.

Opinione la mia che vorrei venisse interpretata solo ed esclusivamente come un'opinione personale di una persona estranea a qualsivoglia corrente politica, una persona quarantenne che è mamma e che, come tutti, si trova a parlare in famiglia di figli, di genitori, di lavoro e di Italia.

E questa della Fornero devo ammettere che a me personalmente non ha poi così creato disappunto anzi, a dire il vero mi ha fatto mettere molto in discussione il mio modo di immaginare e coltivare il futuro delle mie figlie. Non so voi ma quando penso al loro futuro penso subito a un buon lavoro. Sì, tra le cose importanti, sicuramente che abbiano un buon lavoro. Un buon posto, una buona posizione, un buon stipendio,...
Ed è qui che mi sono completamente messa in discussione: perché mai un buon lavoro per essere tale deve rispondere a certi requisiti? 
Un buon lavoro è quello che ti offre la possibilità di crescere, di conoscere nuove realtà, di coltivare le tue ambizioni. Sono questi gli unici requisiti a cui deve rispondere un buon posto di lavoro, l'esperienza che può offrire.

Ed è forse questa la vera chiave di lettura della dichiarazione del ministro: i giovani e noi tutti dobbiamo imparare a metterci in gioco, accettare le sfide, raggiungere i propri obiettivi a piccoli passi, raccogliendo le esperienze che ci offrono le diverse realtà lavorative imparando ad incassare anche i fallimenti, e farne tesoro di tutto ciò. 

Se insegniamo ai nostri figli che lavorare non significa necessariamente o immediatamente mettere in pratica i propri studi ma significa iniziare un nuovo percorso formativo forse li incentiveremmo ad accettare un po' tutte le possibilità che il mondo del lavoro offre loro e con un'unica aspettativa: che il prossimo lavoro sarà ancora qualcosa di nuovo da imparare.


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